Lockdown > Cooking Up!
Alo Lab alla Notte del Lavoro Narrato
Da svariati anni a questa parte, in tutt’Italia (e in qualche luogo anche all’estero) si svolge un festival che non è un festival con un format che non è un format che racconta un tema che non è un tema, bensì una visione dell’uomo e del mondo, una declinazione del senso stesso della vita, vista sotto una particolare luce: quella del lavoro.

La Notte del Lavoro narrato è un’idea di Vincenzo Moretti, sociologo del lavoro tra i più popolari in Italia grazie ad una straordinaria, incontenibile capacità comunicativa e ad un instancabile lavoro quotidiano svolto tra blog, social e libri, ma è il frutto del lavoro di centinaia, migliaia di persone. Il principio è semplice e certamente vincente: ovunque ci sia un gruppo di persone che vogliono parlare di lavoro ben fatto, lì, il 30 aprile di ogni anno, c’è una Notte del Lavoro Narrato. Raccontare il lavoro ben fatto è diventata una missione per Vincenzo Moretti: è iniziato come una sorta di schizzo a matita ed ha assunto l’imponenza di un enorme affresco collettivo, crescendo sulla base delle esperienze che Vincenzo ha raccolto nel corso degli anni in una serie oramai sterminata di storie, che potete leggere qui, nel suo blog.
Tanto per cominciare, il Manifesto del Lavoro ben fatto, che rappresenta il condensato di un’opera di costruzione collettiva a cui l’intero pubblico che segue questo sociologo scugnizzo — come egli stesso ama definirsi — è stato chiamato a collaborare. Un processo inclusivo che contiene un valore smisurato.
Anche noi abbiamo scelto di esserci: il cibo, infatti, storicamente è il primo lavoro ben fatto. La prima preoccupazione dell’uomo è certamente stata quella di nutrirsi, ma non intendo dire prima solo in senso cronologico, bensì anche per importanza: lo sapevano bene i Greci, i quali avevano identificato nel banchetto sacrificale la pratica che ci distingue dagli animali. Questi, infatti, possono cooperare — come i lupi — alla caccia in comune, sembrando quasi umani, ma una volta abbattuta la preda si azzuffano per ottenere ciascuno le parti di carne migliori, tornando così nell’inferiore regno animale. Gli uomini, invece, sanno suddividere il pasto in parti uguali, stabilendo una legge uguale per tutti (isonomia), sicché fin quando siederanno ad una stessa mensa saranno ancora in grado di fondare città e, cioè, di governare nella democrazia.
La cucina, insomma, non serve solo a nutrirci, ma a prenderci cura di noi stessi come società. Del resto, si può eliminare tutto da una famiglia — perfino il tetto di una casa —, ma non i pasti, ovvero la cura per eccellenza.
Per la nostra Notte del Lavoro Narrato, siamo partiti dalla dimensione domestica della quarantena, ispirati dall’osservazione del fenomeno di milioni di italiani intenti a cucinare e condividere non semplici paste al sugo, ma complicate ricette, raffinati impiattamenti e lunghissime lievitazioni di pani e pizze. Ci sembrava chiaro — grazie anche al nostro gruppo Facebook The Wrong Restaurant, che tutti noi stavamo cucinando per rassicurare, consolare e rasserenare noi stessi e i nostri familiari.
Abbiamo inseguito i diversi significati della parola latina cura: prendersi cura di qualcosa o qualcuno, sollecitudine, premura, riguardo, solerzia, diligenza. Tutte accezioni che sono insite nell’atto del cucinare, a qualsiasi livello esso venga svolto, e che contribuiscono a dare una vera e propria definizione di Cucina ben fatta:
La cucina è ben fatta quando serve a prendersi cura del benessere psicofisico proprio e degli altri, quando è sollecito (cioè arriva in risposta ad un bisogno o ad una richiesta), quando è una forma di premura e di rispetto per coloro che mangeranno il cibo consumato e, infine, quando è condotto con diligenza e solerzia, perché la cucina è disciplina.
Così è nato Lockdown > Cooking Up!, un gioco di parole per capire come mai il cibo, ancora una volta, ci ha salvati — questa volta più nella mente che nel corpo —.
Ne abbiamo parlato con una serie di ospiti di valore e competenza:
- Paride Leporace: critico cinematografico, presidente Lucana Film Commission.
- Fabian Capitanio: docente di economia agraria UniNA.
- Vincenzo Esposito: ex-sindacalista e membro dell’IRES, Istituto di Ricerche Economiche e Sociali.
- Diego Garzia: archeologo, archeochef presso il “Salotto Nunziata”.
- Raffaele Di Lorenzo: sociologo, psicologo.
A tenere le fila della chiacchierata, ci sono stati Lucia Serino — giornalista, ex-direttrice del Quotidiano della Basilicata, Head of communication della Fondazione Ravello e membro del web team di Matera 2019 — ed il sottoscritto.
Il risultato è stata una fluviale conversazione a 7 che potete guardare nei video che seguono.
Avrei voluto già tirare le somme di tutto quello che ci siamo detti, tracciare gli spunti di riflessione, i territori da esplorare, mappare gli approdi avvistati sotto costa, ma il portolano di Lockdown > Cooking Up! è sicuramente un’impresa lunga e laboriosa. Mi cimenterò nell’impresa nei prossimi giorni, ne vale pena.
A mo’ di rapidi segni sulla nostra mappa, vi do qualche indicazione per navigare, scritta in ordine di trattazione:
- Il cibo lento ha vinto su quello rapido a cui ci aveva abituato l’industria alimentare ed il nostro stile di vita, basato sul lavoro e sulla performance; per cui hanno vinto pane e lievito.
- Siccome il mercato alimentare sta cambiando per effetto della crisi economica, i menu non dovranno più essere standardizzati ma seguire le disponibilità locali.
- Il cibo è un conforto, specialmente come reazione alla paura.
- A dispetto di quanto si crede, l’agricoltura contribuisce moltissimo al PIL italiano e sarà una delle realtà da osservare per capire come cambierà il nostro modo di mangiare.
- C’è una narrativa che colpevolizza l’agricoltura e la zootecnia, ma va contrastata.
- Food e turismo vanno sempre a braccetto e dovranno continuare a farlo da domani. I tratti identitari dell’Italia infatti sono le aree interne e l’intreccio tra storia turismo e cultura. L’omogeneizzazione di tipo anglosassone colpisce la nostra unicità. Dovremo difenderla.
- Abbiamo meno cultura del lavoro, al Sud?
- Mentre parliamo di food, non dimentichiamo che, fuori dalle nostre case, esiste un crescente problema di povertà. Se ci dovesse essere un assalto ai forni, di manzoniana memoria, dovremmo ridefinire profondamente le nostre idee sul food.
- Cibo e paesaggio. A tavola, come dice Petrini, si sceglie e si costruisce il buon paesaggio.
- Dobbiamo codificare la sensorialità.
Voglio concludere con un ultimo punto che è stato trattato, una riflessione di grande importanza:
In questi due mesi di quarantena dell’Italia, ci siamo dedicati a cucinare e mangiare. Una pratica nobile e ricca di significati, ma non dimentichiamoci che questa non è la rappresentazione della realtà.
La realtà è che fuori il mondo sta cambiando e noi dovremo imparare a cambiare con esso.
